Al
largo di
Liverpool, 2 luglio 1940
-
Bella la tua idea, proprio bella. Ma sì, dai, andiamo anche noi alla
casa del Fascio...
-
Ma che ce ne fregava a noi del fascismo. Non ti lamentavi però
quando siamo andati a sentire Beniamino Gigli o quando organizzavano
la tombola...
-
Sì, sì. Intanto siamo qui su ‘sta nave, trattati come delinquenti
dopo tutto il culo che ci siamo fatti a Londra. Tutti e due belli
impacchettati, due fratelli con la mamma in bottega a sgobbare da
sola. Siamo in un bel guaio, non c’è che dire.
Ernani
e Vittorio Carpanini erano stati prelevati due giorni prima dai
bobbies: uno nel caffè di famiglia a Soho, l’altro per strada,
dove esercitava la nobile arte del musicante. Li chiamavano organ
grinders e in famiglia erano considerati degli artisti di strada.
Ma non ci vuole nessuna maestria a far andare l’organetto,
basta girare la manovella con un movimento costante.
La
musica viene fuori da sola, sembra un’orchestra. Ernani guadagnava
anche una sterlina al giorno nel quartiere di Clerckewell, come un
professionista degli spartiti. Bastava avere un braccio robusto e
girare la manovella, tutto qui. Del resto, chi ce li aveva i soldi
per andare a studiare la musica. A casa loro manco c’erano i soldi
per mangiare. Quando ancora erano a Bardi, i Carpanini erano
taglialegna. La notizia dell'Inghilterra come Terra Promessa arrivò
via mare, da Genova. Il legname dell'Appennino serviva come travatura
di sostegno nelle miniere di carbone in Valfontanabuona. Il carbone
poi tornava a Bardi e con esso anche il racconto di quella terra che
offriva grandi opportunità a chi avesse voglia di lavorare. E la
famiglia Carpanini di voglia di lavorare ne aveva tanta. Partirono
agli inizi del Novecento, con le solite valigie chiuse con lo spago.
In Inghilterra li guardavano da sempre un po’ di sbieco per via di quella parlata che avevano; smozzicavano il cockney e quando si esprimevano in italiano, lo facevano con quell’accento asperrimo dell’appennino emiliano, con quelle esse sdrucciole, le zeta che sparivano – eccessionale, magassino, dicevano - con quelle ci che assomigliavano a cappa, con quel tono che verso la fine della frase si chiudeva a riccio – parole smozzicate e mai terminate, alla fine.
In Inghilterra li guardavano da sempre un po’ di sbieco per via di quella parlata che avevano; smozzicavano il cockney e quando si esprimevano in italiano, lo facevano con quell’accento asperrimo dell’appennino emiliano, con quelle esse sdrucciole, le zeta che sparivano – eccessionale, magassino, dicevano - con quelle ci che assomigliavano a cappa, con quel tono che verso la fine della frase si chiudeva a riccio – parole smozzicate e mai terminate, alla fine.
Loro,
Vittorio e Ernani, manco lo sapevano che il Duce aveva dichiarato
guerra all’Inghilterra. Loro pensavano a sbarcare il lunario e una
volta al mese si ritrovavano tutti assieme alla Casa del Fascio a
Charing Cross, a nord di Trafalgar Square. Sino a quel maledetto
giorno, quando sentirono bussare alla porta e apparvero davanti ai
loro occhi quattro poliziotti di Sua Maestà la Regina. Presi e
imbarcati su una nave nel porto di Liverpool, destinazione
sconosciuta.
A
vederla da lontano l’Arandora Star sembrava una nave da crociera,
una di quelle che si vedeva solo – che loro vedevano solo -
nelle réclame dei giornali. Quelle che andavano nelle Americhe –
un tempo si diceva così, nelle Americhe.
Tutta
bella luccicante, che sfidava le onde del Mare del Nord - baldanzosa.
L’unico particolare che andava a disturbare l’occhio
dell’avvistatore era quello strato di filo spinato che perimetrava
il ponte. Se poi uno aguzzava un po' l'occhio, poteva scorgere a
poppa e a prua due cannoni per attacchi via mare e una vasta
selezione di artiglieria antiaerea.
Lì,
in mezzo all’assito del ponte più alto, c’erano prigionieri
tedeschi e italiani, tutti quanti prelevati dai bobbies su ordine di
Winston Churchill in persona che vedeva in quei poveri immigrati la
quinta colonna del fascismo italiano e del nazismo tedesco.
-
Chi sa che fine ha fatto papà? – Vittorio si sfrega le mani: alle
sei di mattina, in pieno mare, l’aria è frizzante. Anche d’estate.
-
Sarà prigioniero in qualche campo, magari in quello di Bury o a
Brompton Road. Forse sta partendo anche lui per l’Australia. O per
le Americhe. Come noi, del resto...
-
Ma lui, mica ci veniva alla Casa del Fascio, mi sa che lui tirava
dall’altra parte.
-
Ma l’hai capito o no? - guardò dritto negli occhi il fratello -
Gli inglesi mica guardano se sei fascista o socialista, se sei
toscano o emiliano. Loro guardano solo il passaporto e lì c’è
scritto che siamo italiani. E quindi siamo pericolosi per la società
inglese. Altro che balle. L'hai capito o no?
Un
gruppo di tedeschi faceva la ronda; erano marinai, scrutavano il mare
e davano pacche sulle spalle agli italiani. Sapevano come muoversi
sulle navi, non come loro che il mare lo avevano visto solo in
cartolina – al massimo avevano visto il cheto e innocuo fiume Taro
vicino a Fornovo, quando se ne andavano in trasferta a Parma, due
volte l’anno, per le fiere del bestiame.
-
Hai sentito stanotte il dottor Bergamo? Ha detto che siamo seduti su
una polveriera. Dice che i tedeschi ci possono sparare addosso da un
momento all'altro, con tutti quei sommergibili che ci sono in giro.
Non abbiamo nemmeno il simbolo della Croce Rossa ... – Ernani si
accorse che proprio in quel momento stava avvicinandosi a loro il
medico in questione.
Il
dottor Alvise Bergamo era molto conosciuto fra gli italiani a Londra.
Aveva il suo ambulatorio in Kensington Square; ma non visitava solo
gli italiani, anzi, la sua clientela era formata soprattutto da
inglesi – quelli abbienti, perlopiù. E tra i suoi pazienti c’era
pure il capitano della nave, Edgar Moulton. Per questo lo stesso
comandante della Arandora Star – stazza 16mila tonnellate, sei
piani e una chiesetta interna – gli propose di andare a passare le
notti negli alloggi degli ufficiali. Ma lui rispose di no, disse che
“voleva stare con i suoi ragazzi”, quelli ingabbiati e trattati
come delinquenti solo perché erano italiani – come lui, del resto.
Non aveva mai sfruttato il suo status. Sapeva benissimo che le parti
si potevano invertire da un giorno all’altro. Non un uomo di mondo,
ma un uomo del mondo. Da sempre.
-
Dottore, buongiorno. Anche lei qui sul ponte. Mamma mia, che freddo,
eh – Ernani continua a sfregarsi le mani, che facevano il rumore
della carta vetrata (trrrrrr, trrrrrr, trrrrrr). Erano mani
proletarie, irregolari e spigolose, abituate a tirare su e giù
serrande nel caffè di famiglia.
Al
Carpanini’s si serviva il miglior gelato di Londra. Si alzavano
alle cinque di mattina per ricevere l’uomo che vendeva il ghiaccio.
Poi si faceva il gelato sino alle nove. Mezzora di stacco poi via a
bollire il latte, per il gelato del giorno dopo. Ernani partiva alle
undici con il pony e andava nelle vie del centro a vendere Italian
Ice Cream fino al tramonto. Nel negozio ci lavoravano papà Beppe e
mamma Risorta con due zie e tre ragazze del posto, anche loro
emigranti dalla Valtaro. Si chiudeva alle undici di sera e le pulizie
le faceva la famiglia al completo (compreso Vittorio che aveva da
poco depositato nel retro l’organetto).
-
Salve ragazzi. Come va? – Il dottor Bergamo manteneva sempre un
aspetto dignitoso a dispetto delle condizioni di prigionia
(immancabile il Borsalino, poi il gilet e un civettuolo foulard
bianco). Aveva un viso roseo appena compromesso da rughe discrete; la
bocca era ingentilita da un sorriso di circostanza anche nei
confronti dei soldati che lo seguivano con il fucile puntato. Molti
di quelli erano stati anche suoi pazienti. Ma la guerra è la guerra,
gli dissero. Anche per un luminare della medicina. Non si salva
nessuno. Quel giorno, il sedici giugno, presero tutti: banchieri,
sacerdoti, negozianti, manager, gelatai. Il Duce gettò il guanto di
sfida sul volto della perfida Albione. E allora il primo Ministro
inglese si scordò di quando accolse Mussolini nello sfarzo dei
salotti inglesi e anche di quando, nel ’27 disse che ammirava il
Duce - “ultimo baluardo contro il cancro del comunismo russo”,
dichiarò.
Quando
presero la famiglia Carpanini al completo, il poliziotto aveva le
lacrime agli occhi. Tanto che Beppe andò in cantina e prese il
miglior vino per berlo assieme ai poliziotti. “È una questione di
qualche giorno, poi tutto si risolverà, non si preoccupi, signora
Risorta”, dissero i bobbies prima di ammanettare il marito e i due
figli – Ernani di ventidue anni e Vittorio di appena sedici.
-
Dottore, scusi, ma perché ci stanno portando via? Che abbiamo fatto
di male?
-
Di male nulla, se non pensiamo che costituisca un reato l’essere
nati in Italia. È il Duce che stavolta l’ha combinata grossa.
-
E che ha fatto Mussolini?
-
Ha dichiarato guerra all’Inghilterra. Il 16
giugno in Piazza Venezia ha fatto il proclama.
-
Non eravamo amici degli inglesi?
-
Certo. Avete ragione. Anzi, i fascisti erano visti come un baluardo
all’avanzata del comunismo in Europa. Il problema dell’Inghilterra,
allora, era la Russia. Noi italiani sino a quindici giorni fa eravamo
trattati bene, su questo non si può questionare – il dottor
Bergamo scrutava la fascia orientale dell’orizzonte per cercare di
scorgere l’alba – E i simpatizzanti del Fascio erano i benvenuti.
Semmai gli italiani socialisti erano osteggiati. E il Duce lo sapeva,
era contento di avere così tanti italiani in terra inglese, aveva
pure cambiato la dizione con la quale eravamo chiamati: non più
emigranti, ma lavoratori italiani all’estero...
-
E poi?
-
Poi Hitler ha fatto pressione e Mussolini
non ha avuto la forza di dire di no alle sue pretese, alla sua
voglia di espansionismo. Hitler è un pazzo. Sta invadendo la Francia
e vuole fare lo stesso con l’Inghilterra, così ha fatto in modo
che anche gli italiani si mettessero in questo vicolo cieco e ha
costretto il Duce a dichiarare guerra agli inglesi.
-
E dove ci portano ora? - Ernani smarrì in un
labirinto di pensieri resi più confusi dalla mancanza di parole
adatte ad esprimerli
-
All’Isola di Man o in Australia. Chi lo può sapere. Siamo nelle
mani di Dio - lontano, a Ponente, una massa di nuvole avanzava
pigramente -. Ecco, lui potrebbe saperlo... – con un cenno del capo
indicò il sacerdote che stava salendo dalla coperta, mani giunte e
un rosario da snocciolare tra le dita ossute.
Don
Bartolomeo officiava – in modo quasi carbonaro – dalle parti di
Myfair. Si conoscevano: il medico era attirato dalle lunghe dita del
prevosto: affusolate, quasi femminili. Le aveva già notate in
passato, quando salmodiava in St. Peter’s, la chiesa degli
italiani: gli ricordavano le mani di un pianista, capaci di
estendersi oltre un’ottava.
-
Dottore, alle otto ci vediamo sul secondo ponte per officiare la
Santa Messa. Cerchiamo di non perdere le buone abitudini, anche se le
condizioni non sono ottimali – il prete guardò i soldati e le loro
armi con uno sguardo pieno di commiserazione. Poi i suoi occhi
guizzarono su Vittorio e Ernani -. Mi raccomando, venite anche voi,
ragazzi.
-
Non mancherò di venire, padre. E porterò anche questi due giovani
italiani alla messa – il medico mise un paterno braccio sulle
spalle dei due ragazzi.
-
Non li ho mai visti a St. Peter’s – lo sguardo del prete faceva
trasparire un palese ammonimento – Bene, approfitteremo della
permanenza forzata su questa nave per fare la conoscenza reciproca.
-
Può darsi che da questa circostanza negativa possa saltare fuori
qualcosa di buono -. Avrebbe potuto dire che non tutti i mali vengono
per nuocere, ma il dottor Bergamo odiava le frasi fatte.
-
Anche voi, a dire il vero, dottore, non è che siate assiduo
frequentatore dell’ambiente ecclesiastico... – il prete spostò
la mira
-
Eh, padre, il lavoro... – Bergamo, in verità, andava a messa solo
per puntiglio conformista, ma aveva preso in simpatia quel prete
gracile e calvo, che aveva un approccio con le varie liturgie
cristiane tutt’altro che
lefebvriano.
-
Va beh, dottore. Tutte le scuse sono buone. Ci vediamo di sotto,
allora. Oggi abbiamo anche il privilegio di un accompagnamento
musicale di tutto rispetto – con un gesto del mento indicò il
Maestro Alcide Faraboli, apprezzato violinista che ha insegnato
musica a mezza Londra, il quale stava raggiungendo il centro del
ponte.
-
Maestro, anche lei qui. Che onore... – il Dottor Bergamo invitò
Faraboli nel gruppetto.
-
Dura lex sed lex, caro dottore. Per fortuna ho fatto in tempo a
prendere gli attrezzi del mestiere – così dicendo alzò un
contenitore in pelle rigido, probabilmente contenente il violino.
L'aspetto del musicista non lasciava trasparire nulla della
condizione di prigioniero – forse solo l'ombra azzurrognola di una
barba ancora non fatta. Alto, allampanato; rimaneva immobile come uno
che era in posa per fare una fotografia, sorrideva di circostanza e
poi riprendeva un cipiglio serio. Ai più questo sembrava un
atteggiamento buffo, una continua gag per intrattenere il pubblico di
un immaginario piano bar. Per altri, invece, quel tipo era solamente
matto – ma la cosa non era poi così semplice. Andava continuamente
in giro per l'Arandora Star a chiedere se qualcuno avesse visto con i
propri occhi l'Australia – in ogni nave che si rispetti, pensava,
ce ne doveva essere almeno uno.
-
Dottore, è la prima volta che lei va in Australia?
-
Beh, sì.
-
Ah, peccato
Dopo quella domanda e la seguente risposta il discorso cadeva sulla guerra e sul Duce e su Churchill. Ma a queste cose lui non prestava troppa attenzione. A lui solo una cosa fregava veramente: suonare il violino.
Dopo quella domanda e la seguente risposta il discorso cadeva sulla guerra e sul Duce e su Churchill. Ma a queste cose lui non prestava troppa attenzione. A lui solo una cosa fregava veramente: suonare il violino.
-
Stasera penso di organizzare un piccolo intrattenimento musicale
assieme ad un collega tedesco che tenta di strimpellare il piano –
disse l'ultima parte della frase con un moto di ribrezzo – vedremo
che cosa ci salta fuori...
-
E dove avete trovato il pianoforte? - chiese Don Bartolomeo con
curiosità.
Il
maestro ascoltò attentamente quello che il prevosto gli stava
chiedendo. Si concentrò intensamente; come se da un madrigale
lontano dovesse individuare le voci stonate. Infine parlò.
- Non scordiamoci che l’Arandora Star è nata come nave da crociera. Nella sala principale abbiamo riesumato un rudere di pianoforte a coda e ... - stette immobile e sorrise, poi, serio, se ne andò.
- Non scordiamoci che l’Arandora Star è nata come nave da crociera. Nella sala principale abbiamo riesumato un rudere di pianoforte a coda e ... - stette immobile e sorrise, poi, serio, se ne andò.
-
Poveri noi. Che Dio ci assista. Allora a stasera. Ad maiora... - il
prevosto lasciò la compagnia.
Oramai
il sole si era alzato con prepotenza da Oriente. Quasi tutti i 1190
prigionieri erano svegli; c'era chi passeggiava sui ponti, chi si
apprestava a scrivere lettere ai familiari,
chi scrutava l'orizzonte dagli oblò sottostanti in cerca di
impossibili risposte. I militari guardavano tutti i prigionieri con
attenzione esagerata. Mancava poco alle sette, una manciata di
minuti.
A
duemila e cinquecento metri di distanza un sottomarino tedesco –
U-Boot 47, 6.500 tonnellate di stazza - era in procinto di caricare
un siluro, destinato alla Arandora Star. Il “fuoco” fu dato alle
6 e 58 minuti. Dopo novantasette secondi il boato straziante rivelò
a prigionieri e equipaggio che la nave era stata colpita. L'Arandora
Star affondò in quarantadue minuti. Pochi si salvarono. Le
quattordici scialuppe furono prese d'assalto. La nave era stata
progettata per mettere in salvo 400 persone, ma gli uomini erano
quattro volte di più.
Ernani
Carpanini non capì subito la gravità della situazione; nemmeno
quando gli gridarono che la nave era stata colpita da un siluro.
Forse perché non sapeva bene che cosa potesse essere un siluro – e
quanto male potesse fare un pezzo di acciaio scagliato contro un
colosso come l’Arandora Star. Vedeva solo la nave sotto di lui
imbarcare acqua e affondare sempre di più. Vide la gente piangere e
spingersi per entrare nelle barche che chiamavano scialuppe. Il mare
intorno alla nave formicolava di persone che si erano gettate in
acqua; alcuni parevano anche divertirsi, pensò in quel momento il
giovane Carpanini. Lo incuriosirono anche quelle persone che
abbracciavano pezzi di legno spuntati da chissà dove. Gli sfuggì
anche un timido sorriso. Fino a quel momento Ernani non aveva paura,
pensava che fosse stupido aver paura di qualche cosa che non si
conosce; glielo diceva sempre suo padre, quando lui da piccolo non
voleva entrare in una stanza buia “e cosa vuoi che ci sia dentro al
buio. Quando accenderai la luce, ti accorgerai che non c'era nulla di
spaventoso”. Anche il mare lì sotto era nero come il buio. Ernani
aspettava tranquillo che qualcuno accendesse la luce, qualsiasi tipo
di luce. Cominciò a preoccuparsi quando vide il fratello Vittorio
che discendeva tutta la nave per guadagnare la via del mare. Allora
prese il coraggio a quattro mani e afferrò una ciambella di
sughero che un marinaio tedesco gli stava porgendo. Fece passare
prima la testa, poi le braccia e poi l'addome; ora la ciambella era
all'altezza del pube. Ernani era un po' dubbioso, allora guardò il
marinaio tedesco che con il pollice alzato gli diede l'assenso. Si
gettò quindi dal ponte e il salvagente appena toccata la superficie
del mare produsse un colpo di frusta che spaccò in due la spina
dorsale del ragazzo.
Il
fratello Vittorio riuscì a raggiungere senza danni il bordo
dell'acqua, ma non essendo avvezzo al mare, bevve acqua satura del
combustibile fuoriuscito dal serbatoio della nave, morendo di morte
atroce.
Il
Maestro Faraboli rimase fermo come una statua. Che cosa può fare un
violinista su una nave che sta affondando in mare aperto? Il dottore
soccorre, il marinaio cala la scialuppa, il soldato vigila che tutto
l'equipaggio si metta in salvo, il prete prega. “Ma un musicista
che cazzo può fare? Suonare il violino?”,
pensò. Lo trovarono appeso ad una fune, impiccato.
I
relitti che galleggiavano fornirono al dottor Bergamo una sorta di
zattera. Il medico si aggrappò a quel pezzo di legno – forse un
tavolo o un pezzo di pianoforte o una cassa di viveri - dopo aver
sdegnosamente rifiutato un comodo passaggio sulla scialuppa più
confortevole del capitano. Lo sentirono in mezzo al mare ripetere
incessantemente una strofa del 5 maggio di Manzoni: “... come sul
capo al naufrago, l'onda s'avvolge e pesa”. Morì assiderato, sotto
gli occhi del capitano dell'Arandora Star, Sir Edgar Moulton.
Alla
fine di contarono più di ottocento vittime.
476 italiani che persero la vita.
48 provenivano da Bardi, in provincia di Parma.
476 italiani che persero la vita.
48 provenivano da Bardi, in provincia di Parma.