È
la vigilia di Natale, presto. Tanto presto che il sole non ha ancora
valicato il promontorio magico di Sestri Levante. È così presto che
riesco ancora a rabbrividire per l’ultimo refolo notturno che
scivola, timido, dalla collina di Santa Giulia. È probabile che oggi
verrà giù ancora un po’ di macaja, ma ora l’aria è fresca e
dolce.
Mi
bevo il mio the e accendo la prima sigaretta della giornata. Non sono
ancora le sette e fuori c’è silenzio assoluto. Il primo rumore che
sento è l’accendersi di una piccola radio a transistor che una
mano callosa ha poggiato sul davanzale della casa che ho di fronte.
Si spande, come zucchero filato su una torta di mele calda, l’armonia
di una canzone.
...sento
fischiare sopra i tetti
un
aeroplano che ne ne va…
Adriano
Celentano, anni 60 o 70, boh, non mi ricordo. So solo, che
ascoltandolo, la so a memoria. C’è qualcun altro che la sa a
memoria; è la voce della stessa mano che ora sta lisciando una
parete di una stanza che sta ristrutturando. Sta usando il frattasso:
sta fratassando. Intonaco e musica: due armonie a me care.
Ora
c’è un lieve intermezzo tra frattasso e musica. È lo
sfrigolamento di una carta oliata che contiene un panino alla
mortadella. Lo riconoscerei tra mille.
Inconfondibile,
come la voce di Celentano.
Ora
il mio amico muratore sta facendo colazione, mentre io scrivo due
cose sul retro di un pacco di biscotti. Pensieri che stanno formando
questo pensiero.
Chi,
fuori da questo mattino di un giorno di festa, è al corrente di
questo frattasso, di un panino con la mortadella, della sua carta
oliata e della voce di Celentano?
Questa
mattina, il quartiere Ripamare è altrove da qualsiasi ragionevole
contemporaneità, è una specie di acquario, un micromondo isolato
dall’universo da una lastra di vetro da dove nulla può trapelare.
Una barchetta che, placidamente, caracolla sul mare che abbiamo
davanti agli occhi. Ma, nella barca assieme a me, c’è un ragazzo
che ha sì e no la metà dei miei anni e non dovrebbe conoscere
questa canzone, né l’esistenza dello frattassamento, alla viglia
di un giorno di festa. Accanto a lui, c’è un collega che ieri
cantava a squarciagola Vola Colomba Bianca Vola, che ora si sta
facendo una grassa risata.
Chissà
perché.
Chissà
per cosa.
Chissà
quanti di noi sanno dell’esistenza di negozi che vendono radio a
transistor, o frattasse o panini con la mortadella poggiati su carta
oleata.
E
ci sono anche ragazze che amano giovani muratori canterini: lo so
perché odo squilli sincopati di cellulari e risatine e allegri
prendingiro.
Ci
sono sentimenti, oggetti, musiche che bastano a fare un universo
clandestino, anoressico dalla contemporaneità.
Dio
solo sa se non vorrei mettermi di fianco a loro per cantare quella
colomba bianca che vola. Ma non lo faccio; non voglio ficcare la mano
in quell’acquario che è perfetto così come è, ora che il sole
troneggia sulla baia delle Favole. Voglio che questo piccolo miracolo
di Ripamare se ne resti pace. Un piccolo segreto, così
insignificante per chi mi guarda da lontano. Perché il segreto è
viaggiare altrove, essere invisibile in quest’epoca infame assieme
a un frattasso, una carta oleata e la voce di Adriano. E restare
vivi, amare e essere amati e tirare avanti serenamente fino al
prossimo ponteggio, al prossimo telaio di una finestra su cui
poggiare una radiolina a transistor, alla prossima fragranza di un
panino alla mortadella. Alla prossima stupida, vecchia canzonetta.
Fino
alla prossima vigilia di Natale, perché i muratori a cottimo
lavorano tutti i santi giorni che Dio manda sulla terra.
Festivi
compresi...