lunedì 28 maggio 2018

Scappa, Giuseppe Conte, scappa...





Probabilmente non ha molto senso dirlo oggi, ma mi sento vicino a Giuseppe Conte. Provo la solidarietà che ho avvertito sabato sera nei confronti del portiere del Liverpool.
Gli eroi sfiorati come Conte hanno un nemico comune a tutti gli uomini – il proprio ego, nello specifico, manifestato nel taroccamento del curriculum - e uno speciale e assai peggiore, ovvero il famoso senso di responsabilità. Al peso dell’amor proprio si somma il fardello delle pubbliche attese.

Così, quando ho visto che, finalmente, ha lasciato il Quirinale con i suoi faldoni in mano ho pensato istintivamente che era evaso. Me lo sono visto appena uscito dalle severe stanze istituzionali come in certi film americani con il vestito a righe e la lima ancora in mano, che corre a perdifiato verso il confine con il Messico. Poi, la seconda immagine, metafisica, è lui che dà un’ultima occhiata al Paese, una timida sbirciatina con un ghigno beffardo al triste spettacolo di Di Maio e Salvini e Martina e Berlusconi e Renzi.
E scorrono i titoli di coda.

Il primo che mi chiede adesso (e qualcuno l’ha già fatto) un giudizio politico e etico sullo spettacolo del quasi premier Conte, lo mando affanculo senza passare dal via.

Vorrei solo un cammeo, una particina minore nel film di “Giuseppe l’evaso”.
Solo un piano sequenza, io e lui, in un baretto dalle parti di Tijuana. Gli offrirei un doppio rum.
Alla salute, companeros, gli direi.
Alla tua salute...

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